Pannilini di Siena
Nanni di Mino di Paolo, appartenente ad una famiglia originaria del Castello di Cana nella Maremma, è l’antenato più sicuro da cui procedono ì Pannilini. Costui, secondo quello che scrive il Tommasi, nel 1408 si ascrisse al Monte del Popolo all’arte dei Panni-Lini e nello stesso anno fu Consigliere del Comune. Di qual condizione fossero i suoi antenati s’ignora; ma probabilmente appartenevano ad una famiglia ch’esercitava la mercatura. Che poi i Pannilini discendessero dagli antichi Pecoraj o Monaceschi di Torrita Signori della Fratta, ai quali appartenne quel famoso Ghino di Tacco reso immortale da Dante nel Canto VI del Purgatorio, è un sogno, giacché non vi è traccia alcuna che dia il menomo indizio della verità di una tale asserzione.
Abbandonando però le incertezze e le congetture, il fatto è che la famiglia Pannilini è famiglia popolare, che solo nel secolo XV si fece potente col traffico, essendo poi salita a grande rinomanza tra le vicissitudini della sua patria.
Nella seconda metà del secolo XV fecero acquisto dai Tolomei del Castello della Fratta, ove col disegno di Baldassarre Peruzzi edificarono un magnifico ed elegante palazzo oggi posseduto dalla Nobile famiglia de’ Gori a cagione del ricco fedecommesso pervenutole nel 1601 da un ramo de’ Pannilini di cui essa fu erede. La Terra della Fratta per concessione di Ferdinando d’Aragona Re di Napoli fu eretta in feudo nel 1469 a favore di Simone e di Mino (di Pietro) Pannilini, con facoltà di trasmettere i privilegi nei loro discendenti.
*BARNABA di Nanni di Barna, nacque a Siena, dove fu battezzato il 15 ottobre 1399. La sua presenza nel Concistoro coincide con le situazioni problematiche, quando i Petrucci e i loro alleati o i "clientes" si concentrano nelle cariche; il suo nome non è mai preceduto dal titolo "magister" o "dominus" che spettava a chi insegnava all'università. Viveva ancora nel '50, quando fa un acquisto (Gabella Contratti 221, c. 38v), nel 1465 era morto (Lira 152, fase. di S. Quirico in Castelvecchio). Doveva occuparsi degli interessi commerciali della famiglia e il Comune compra da lui e soci la stoffa necessaria all'apparato per le onoranze al Piccinino (CD 412, c. 65, ottobre 1434). Nell'aprile del 1438 fa parte della commissione che decide lo stanziamento di 10.000 fiorini per Filippo Maria Visconti, "pro offendendis emulis" (CD 433, c. 48), intensifica l'impegno nei primi anni 1440, quando và in Casentino per raccogliere uomini da mandare in Maremma ("chome veghono un Sanese li pare vedere Domenidio", scrive da Poppi il 2 ottobre 1441, (Lettere al Concistoro 1949, n. I; il conte di Poppi aveva aperto il passaggio a Niccolò Piccinino prima della battaglia di Anghiari). Durante la guerra con il conte di Pitigliano è camarlingo dei Paschi e anticipa una somma di 3.000 fiorini (CD '454, c. 77v; CD 457, c. 47), nel luglio-agosto del.1442 è tra i Savi del Concistoro (CD 459, c. 2v), nel bimestre successivo consigliere del capitano del popolo Lorenzo di Ghino Bandinelli, lo stesso che aveva tenuto l'orazione ufficiale per la condotta del Filelfo (CD460, c. 1), e Il bimestre dopo priore· nel gennaio 1443 è nella commissione per il passaggio del papa (CD 462, c. 3). Nel '44 è amba: sciatore a Niccolò Piccinino e a Firenze viene a sapere della morte del condottiero (Lettere al Concistoro 1955, n. 97); si reca a Milano, dove è ricevuto dal duca: "più fedele uomo in Siena non si poteva mandare di me" (Lettere al Concistoro 1956, n; 29). V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1932, V, p. 523 (alla voce Pannilim).
SIMONE di Pietro coprì diverse cariche municipali e tra queste fu Саpitano del Popolo nel 1454. Le sue fortune accumulate colla mercatura gli fecero largo al conseguimento delle cariche, e così morendo lasciò i suoi discendenti in braccio alla buona fortuna. Nel 1460 aveva dai Tolomei fatto acquisto della Fratta, che a suo riguardo fu eretta in feudo, come abbiamo di sopra accennato, da Ferdinando Re di Napoli, al quale aveva prestato ingenti somme, nell’occasione che questo Monarca dovette sostenere la guerra contro i Francesi.
*Simone e suo fratello Mino erano soci in affari, e di molto successo: tra il 1468 e il 1478 il loro patrimonio denunziato quasi si triplicava. | A. Foschini, Il castello della Fratta. Notizie storiche, Siena 1892, p.17. Rimanda alla denunzia della transazione nell'ASS. Denunzie di Gabella, 1469. Mino conosceva la zona perché già nel 1462 (gennaio-giugno) vicario della Valdichiana (ASS. Concistoro 2374. c.58r).
MATTIA di Mino (dagli archivi di Stato e da documenti di Famiglia risulta essere in realtà figlio di Pietro, e quindi fratello di Simone, ndr) cominciò a farsi buon nome nel 1482 allorché prese parte alla cacciata del Monte de’IX ch’era stato rimesso in patria due anni prima per opera d’Alfonso Duca di Calabria, il quale coll’esercito di Ferdinando Re di Napoli suo padre trovavasi in Siena diretto a far guerra ai Fiorentini per la congiura de’Pazzi. Da quest’epoca in poi ebbe quasi sempre mano nelle vicende della Repubblica, essendosi eretto in capo del partito che si appellò dei Biribatti, diretto ad assicurare la libertà della patria contro l’ordine de’Nobili, ch’era quello della monarchia. Nel 1484 la Repubblica creò ottime leggi, ma non potendo crear gli uomini si trovò esposta alle più triste sciagura. Nacquero pertanto discordie nella città tra il Popolo medesimo, e la cosa si spinse a tanto, che si spargeva sangue per le pubbliche vie; e ciò accadeva principalmente perché alla caduta dei Noveschi, non avevano emigrato che i principali tra essi, e cosi rimaneva tuttavia in Siena un elemento di più d’inimicizie, con tutte le sue conseguenze. Questo preludio d’anarchia, di cui si erano cominciati a provare i terribili effetti, determinò la popolazione all’estremo partito, cioè, a quello di richiamare i fuoriusciti, i quali moltiplicati in gran numero, correvano il territorio con molto furore, occupando ancora diverse terre e castella. Difatti fu proposto in consiglio il richiamo dei fuornsciti; ma il Pannilini allora Capitano del Popolo, scorgendo nel loro ritorno l’imminente rovina della Repubblica, si oppose, malgrado gli sforzi del Cardinale Arcivescovo Piccolomini che a far ciò lo ammoniva. l fuorusciti non vedendo altro scampo per ricuperare ciò che perduto avevano senonché l’unione fra loro per poter usare concordemente la forza dell’armi, si disposero all’impresa adoperando la sagacità e l’ardire. La notte adunque che precedette il giorno 22 agosto del 1487 accostatisi segretamente alla città, col favore di alcuni di dentro salirono le muraglia, e forzata una porta entrarono liberamente in città. Mattia allorché udì il prospero successo de’fuoruseiti si diè alla disperazione, poi confidando nel soccorso de’ suoi aderenti e molto più nella Plebe che tanto odiava i Nobili, si asserragliò nella torre del pubblico palazzo risoluto di tentare la sorte dell’armi; ma la Plebe, forse perché sedotta dall’oro dei Nobili, o avvilita per le passate sciagure, non corrispose ai desideri del Pannilini; cosicché questi fu costretto di cedere il palazzo ai nuovi padroni. Mattia dopo di essere stato privato della dignità che rivestiva, fu incarcerato e consegnato al Potestà. Torturato nel modo più atroce, finalmente gli fu tagliata la testa dal carnefice il 26 d’agosto dello stesso anno. Tale fu la fine di quest’uomo che poco prima con tanto onore era universalmente riverito. Colla morte del Pannilini terminò il governo popolare; i IX diventarono padroni di Siena, e cosi a poco a poco gettarono le fondamenta del principato di cui i Petrucci poi raccolsero il frutto.
МINO (di Pietro, ndr) suo fratello nel 1482 prese parte con Mattia alla cacciata del Monte dei IX, cosicché al loro ritorno nel 1487 fu multato in 30.000 fiorini d’oro da pagarsi dentro dieci giorni, e ciò non facendo nel tempo assegnato dovesse pagare il doppio della multa. Di più fu obbligato a restituire i beni de’Perugini, de’quali la Repubblica con rappresaglia erasi impadronita e che aveva ceduti al Pannilini, per ricuperare come dicevasi, il S. Anello che dieci anni prima un Frate minore furtivamente trasportato aveva da Chiusi a Perugia. Accusato in seguito di segrete colpevoli intelligenze coi Fiorentini, co’ quali i Senesi allora erano in guerra, fu esiliato. Dopo di ciò non trovo più ricordato il suo nome.
*Suo fratello Simone morì probabilmente nel 1481 e Mino si occupò della cognata, rimasta vedova, e dei nipotini.
fine giugno 1478
Denunzia di Simone e Mino Pannilini, abitanti nel terzo di San Martino, compagnia Rialto e Cartagine.
ASS, Lira 177, fasc. 3, c.I.
"Spectatissimi cittadini eletti et deputati a fare la nuova lira degli aliratori
Dicesi per noi Simone et Mino di Petro Pannilini et di tutti beni mobili et dimobili ci troviamo et prima:
- La casa dela nostra abitazione con poche massarizie posta nela compagnia di Realto et Cartagine (molto probabilmente trattasi di questo palazzo, le cui basi sono medievali, ndr).
- Item ci troviamo in sul trafico di panni lino cavati debiti et chrediti fl. mille secento nel quale corpo sonno f1. 400 d'una concia di choiame con Cristofano di maestro Meio choiaio, et fl, cento con Mariano et Senso da Pereta in suruna poca butticha di calzolaii, et la metà di pecore 600 abiamo en soccio a Pereta et Arcidosso con bestie trentaotto baccine con Valentino d'Arcidosso, et bestie otto bufaline brade in soccio a Magliano tutte per corpo di detto trafico, et questa è la verità, avixando le vostre spectatissime reverenzie che da sette anni in qua abiamo perduto solamente in due capi fl. quatromilacinquecento,cioè fl. 2000 di moggia, trecento di ghrano caricato in su la nave gienovese in comesione di ghardo, chome è noto, et fl. 2500 per capi 4000 di pecore bianche morte ora fa tre anni, chome vi può essare noto, et dici anni che sotto protesto degli sconti de paschi ci distendemo et caricamo di bestiame pecorino più non portava el nostro stato, ricordando a le vostre spetabilità che se non fusse el buon chredito nel quale ci a mantenuti assai Ambruogio Spannochi et chonpagnia, l'aremo fatta male per essarsi potropo distesi in pecos'è fatto facendo col loro a conpagnia simili incette. Ecci ancora le dette perdute assai, come sapete, fanno e residui de trafichi e se mai ne perdemo ora el tenpo per le novità parate di ghuerra e di moria.
- Item una pocisione posta in Valdichiana in luogo detto la Fratta chor una casa posta nel castello d'Asinalongha e staia tre di vignia, la quale abiamo conprata pocho tenpo fa da misser Salvadore di Ghuccio, a la quale abiamo agionto staia 120 di terra comprata a di passati dal friere di Sciano in baratto d’una casa et una vignia et parte d'uno mulinello avavemo a Sciano. Sonno chostate in tutto fl. tremilacento cioè la prima copra fl. 2600 e queste altre terre fl. 500, avisando le vostre spectabilità che oggi sonno di peggio assai per le diferenzie degl'uomini d'Asinalongha con Foiano. Sendo a confino colloro bona parte ne sta sode, et non è diferenzia la loro da finire di legiero che ne corse l'ucisioni degli uomini, come dovete sapere, e la pocisione [cancellato "da mezaiuoli"] abandonata da mezaiuoli che non v'abergha persona, e questa è la verità.
- Item abiamo conprato ne la corte d'Asinalongha staia 54 di terre pratie e lavoratie, sonno choste da più persone fl. dugiento quaranta cioè fl. 240.
- Item due case si tenghano per alberghi poste a Monterone di Valdarbia, le quali sonno di pocha faqultà che l'uno per l'altro fanno male chon staia sedici di terra di valuta in tutto di fl. 500, sonno beni stabili di molto pericolo del fuocho et gia è avenuto, Dio ne ghuardi ciasquno.
- Item uno albergho posto nel castello di San Quirico el quale abiamo conprato a di passati e chostato fl. 360.
- Item una vignia tiene da noi a fitto el Ghratta posta nella corte di Vigliano, costo fl. 300, da Pavolo di Daniello arene di fitto fl. 68 l'anno.
- Item uno casalino posto fuore de la porta Pereta non se ne cava nulla, contamocelo danno nostro debitore fl. 40 per non potere avere altro.
- Item abiamo avere dal crede di Ghalghano di Petro fl. 1300 per le dote dela donna di Simone et non gli potiamo avere per essare molto disagiati.
Spectatissimi alliratori noi v'abiamo detto puramente la verità, sperando da voi per questo riportare più ghrazia, ponendo 'acanto se alquna alterazione fusse voluta fare fuore di questa scritta, la qualchosa non crediamo, et con quella umanità discreta essare tratati che ci siamo trovati fare verso di voi et di tutti altri citadini. Racomandianci ale Signorie Vostre le quali Dio felici et conservi in buono stato.
Le dette scritte furo fatte al uscita del mese di giugno, di poi come sanno le vostre spectabilità è seguito la moria e la guerra et massime in Valdichiana dove abiamo totalmente sode le dette pocisioni senza nissuna semente et per a tempo niuna speranza di conare perduti diciotto fra buoi et giovenchi grossi, arse cinque capanne e una casa. Abiate conpasione a tutti quelli anno le pocisioni ne confini. Item perduti in Firenze e contado più che fl. 500 e in Siena et pel contado per le hocorenzie del tenporale potete pensare abiamo perdute tutte l'entrate e serrato el trafico che non si fa nulla parechi anni. Ci abiate per rachomandati,
Metiamo d'incarichi per le sudette perdite fl 2.500”.
1484
Denunzia di Mino Pannilini e dei suoi nipoti, figli di Simone, abitanti nel terzo di San Martino, compagnia di Pantaneto. Qui sono riportati solo i riferimenti ai beni a Sinalunga, e ai familiari di Simone.
ASS, Lira 205, c.95.
"Christo Mccco°Lxxxiiii°
Spetabilissimi cittadini eletti et deputati a fare la nuova lira degli aliratori dicesi per noi Mino di Petro di Mino et nipoti figliuoli che furo di Simone mio fratello di tuti et beni nostri mobili et immobili ci troviamo Terzo di San Martino et chonpangia di Realto et Chartagina.
- Item una posissione chiamato la Fratta in Valdichiana apresso Asinalongha che del buono tenpo chonpramo dal erede di missere Salvadore Talomey chon certi terreni chonpramo dal friere di Sciano. Fra esse pocisioni et d'altre poche tere chonprate da più chontadini spezate ci chostoro in tutto fl. quatromigliacinquecento di l. 4 per fl.; oggi vagliano mancho asay e stimiamo che oggi vaglino cho la chasa dentro inn Asinalongha et una vigna di st. sei o circha posta nella chorte d'Asinalongha fl. tre miglia di I. iiii° per fl. 3000. Avisando vostre spetatisime riverenzie che le dette pocissioni gia sey anni in sette non si sono lavorate se non questo anno et l’anno pasato che n'abiamo ahuto più danno che utile infino a questo di.
- Item abiamo in detta chorte d’Asinalongha uno podere a due paia di buoi nele pocissioni de la Pieve, le quali chonpramo dal Magnificho chomuno di Siena ora di prossimo le quali furo de beni degli Orlandini per fl. cinquecento cinquanta di I. iiii° per fl. 550
- Item chonpramo st. quaranta di terra da missere Filippo Buoninsegni nela chorte dela Fratta per fl. centocinquanta di I. iiii° per fl. che già furo de beni degli Orlandini fl. 150
- Item chonpramo de beni de detty Orlandini dal detto chomuno di Siena una chiusa apresso la terra et una chasa fuvi chor uno granaio dentro ala terra picholo chone st. tre di terra ulivata et st. tre di vignia in detta chorte per fl. dugento di l. iiii° per fl. 200
- Item abiamo di incharicho chola donna che fu di Simone nostro fl. secento e quali gli vuole, che Simone detto la dotò in fl. quatrocento et fl. centoquaranta d'alimenti et fl. sesanta di donamenta. In tutto furono fl. secento fl. 600."
GIULIO di Simone fu uno dei più fedeli amici di Borghese Petrucci, e fece tutti gli sforzi per conservarlo nell’autorità in cui Pandolfo suo padre lo aveva lasciato. Nel 1544 fece parte dei IX Cittadini deputati ad assoldare milizie, onde provvedere Borghese di una maggior difesa. Nello stesso anno fu uno dei gentiluomini che accompagnarono a Perugia Francesca Petrucci sorella di Borghese, che recavasi colà sposa d’Orazio Baglioni. Quando furono note in Siena le mire di Leone X, di collocare nella Signoria della città Raffaello Petrucci Vescovo di Grosseto, il Pannilini fu deputato in un Consiglio di IX Cittadini, istituito in quella circostanza per provvedere negli imminenti pericoli alla salvezza della città e del Principe. Nel 1545 Raffaello Petrucci cacciò il cugino dalla Signoria, e d’allora in poi Giulio diventò l’amico e il confidente del nuovo padrone. Nel 1511 fu Capitano del Popolo, carica che ottenne per altre quattro volte. Quando Raffaello Petrucci nel 1521 dovette portarsi a Roma per assistere al conclave ch’elesse Adriano VI, lasciò in Siena un Consiglio di XV Cittadini per rappresentarvelo e Giulio fu chiamato a formar parte di questa commissione; ed allora quando si temette un’invasione nel territorio della Repubblica per parte dei fuoriusciti guidati dai Baglioni e dal Duca d’Urbino, egli col grado di Generale dell’esercito senese, fu mandato a Chiusi per guardare le frontiere. Nel 1522 fu Gonfaloniere del Comune, carica che ottenne più volte. Caduti i Petrucci nel 1523, fu preso in considerazione dai Repubblicani, i quali lo elessero degli aggiunti alla Balìa destinata a riformare lo stato. Breve tempo durò questo governo, perché Clemente VII che non aveva mai amato le Repubbliche non vedeva per conseguenza di buon occhio quella di Siena; ed i francesi che si erano eletti protettori de’ Senesi, per il solo fine di aver mano negli affari d’Italia, appoggiarono le massime del Papa. Fu così accettato dai Senesi per arbitro dei destini della patria Alessandro Bichi che apparteneva al Monte dei IX, siccome l’ordine che più avvicinavasi ai principi monarchici; ma perduta dai francesi la battaglia di Pavia nel 1525, il Bichi fu ucciso, e Siena si ristabilì in Repubblica. Giulio ch’erasi sempre dimostrato avverso al governo popolare fu esiliato a Padova; ma Carlo V divenuto il nuovo protettore dei Senesi si oppose e il bando fu revocato. Morì poco dopo il 1540.
MARCANTONIO suo figlio nel 1542 fu mandato Ambasciatore al Granvela, agente imperiale a Mantova, colla commissione di purgare lo Sfondrato dalle accuse che potevano essere state date contro di 1ui. Nel 1543 ebbe la stessa missione a Roma per ottenere da Paolo III il permesso di potere esigere parte delle rendite ecclesiastiche del dominio senese, per fortificare le maremma nella circostanza che i Turchi erano penetrati nell’acque di Piombino. Nel 1545 doveva essere nominato Capitano del Popolo per volere dei IX ai quali era aderente: ma i repubblicani si opposero, e questa dignità fu conferita a Gio. Battista Umidi. Questo fatto fu causa di gravi sconvolgimenti in Siena promossi da Bartolommeo Petrucci uno dei capi della fazione Novesca, ma dopo non poco spargimento di sangue tutto terminò colla vittoria dei repubblicani. Nel 1553 istituì la Fratta in fedecommesso con bolla di Giulio III, chiamandone eredi i discendenti dell’ultima femmina, con obbligo di assumere cognome e stemma dei Pannilini.
EMILIO suo figlio fu Cavaliere di S. Stefano, e nel 1590 fondò il Priorato di Siena. Mori nel 1601. In lui si estinse il ramo primogenito dei Pannilini, le di cui ricchezze passarono in Porzia sua figlia, la quale unendosi a Fabio di Niccolò De’ Gori le portò in questa casa. I beni stabili posseduti dai Pannilini erano Torrenieri, Amorosa, Fratta, Guardavalle, S. Giovanni d’Asso e Pannilina. Porzia portò nei Gori i primi quattro: S. Giovanni d’Asso passò, credesi, in dote ai Sansedoni, e quindi di nuovo per eredità al ramo Pannilini oggi rappresentato da Antonio. L’Amorosa restò ad un altro ramo dei Pannilini, terminato nel Senatore Pietro che chiamò erede il Cav. Angelo di Giulio Piccolomini. L’archivio di casa Pannilini oggi è posseduto dal Conte Cav. Balì Augusto Gori-Panilini, e contiene circa 2000 pergamene, molte delle quali di somma importanza. Fra le altre vi sono tutte quelle relative al feudo di S. Giovanni d’Asso già posseduto da Riccardo di Diotisalvi Petroni Cardinale di Sant’Eustachio. Contiene pure le contese tra i Vescovi d’Arezzo, di Chiusi e Montalcino per diverse Pievi; i contratti fatti da Marco-Antonio Pannilini colla Camera apostolica per gli appalti della Marca d’Ancona, fra i quali esiste un volume contenente una statistica dei proventi di tutti i Comuni delle Marche e spese relative al loro governo; il testamento di Guastellone de’Guastelloni fratello di quella Pia, che rimasta vedova di un Tolomei, si uni in seconde nozze col Conte Nello della Pietra di casa Pannocchieschi, il quale la fece morire per mal aria in un castello della Maremma per sposare una ricca erede del feudo Aldobrandesco; e finalmente alcune lettere di Baldassarre Peruzzi Pittore ed Architetto, dirette a Marcantonio Pannilini, colle quali lo rende inteso del memorabile sacco di Roma di cui era stato testimone oculare, e gli chiede un anticipazione su i lavori già incominciati della Fratta. Fu pure dei Pannilini, ed oggi de’Gori-Pannilini il patronato della Canonica a Villore, uno dei più insigni monumenti cristiani della Toscana, che vari anni sono fu visitato espressamente per ordine del Granduca Leopoldo П da Antonio Ramirez di Montalvo e dal Prof. Pietro Benvenuti, e che meriterebbe una accurata illustrazione.
CAMMILLO di Mino. Comparve il suo nome nel tumulto del 1552 allorché furono cacciati gli Spagnoli da Siena i quali guidati da quello scellerato uomo di Don Diego di Mendozza operarono ogni sorte d’iniquità. Era Siena una repubblica ossequiosa a Carlo V, dove il partito di Francia si occupava con perseveranza a promuovere un cambiamento. Finalmente la cosa riuscì. Vi fu un fatto d’armi contro gli Spagnoli che vi avevano presidio e contro Otto da Montauto spedito da Cosimo Medici; ma costoro ebbero la peggio e si rifugiarono nella cittadella da loro fabbricata. La celerità e la sorpresa non permisero d’introdurvi le vettovaglie; perloché in pochi giorni gli Spagnoli lasciarono libero il posto e la cittadella fu demolita. Poco dopo fu nominato Capitano delle milizie senesi all’infretta adunate, per far fronte ai tentativi degli imperiali nel caso di una nuova invasione nel territorio della Repubblica. Scoppiata la guerra dell’indipendenza, combatte con valore ai fianchi del Maresciallo di Thermes contro gli Imperiali; ed in un fatto d’armi avvenuto nella Valdichiana rimase prigioniero. Riscattatosi dopo breve tempo si chiuse in città, e quivi con zelo e disinteresse difese la patria fino all’agonia della sua libertà; dopo di che dovette cercarsi altro asilo perché la vendetta medicea non lasciava impuniti coloro che avevano contro di essa brandito le armi. Ciò che di lui avvenisse dopo quest’epoca è incerto.
GIUSEPPE di Girolamo destinato alla Chiesa si fece ecclesiastico, ed ottenne un Canonicato in S. Maria di Provenzano. Fornito dalla natura di non comuni talenti, si applicò con felice successo allo studio delle leggi e delle teologiche discipline riportandone con plauso la laurea nel pubblico studio di Siena sua patria. Tuttora giovine fu prescelto per i suoi meriti da Clemente XIV nel 1770 per la sede vescovile di Chiusi, ed in questo ministero risplendette per ogni genere di virtù. Contento di un tenue trattamento, dalle proprie economie traeva modo di soddisfare alla sua liberalità assolutamente reale. Oltre la rendita di quella mensa vescovile, anche quella del suo pingue patrimonio erogò nell’accrescere il censo di molte Parrocchie, nel restaurare ed edificare nuove Chiese. Singolarissimo poi fu l’amore ch’egli ebbe verso degli indigenti. Narrasi che andando egli un giorno a diporto lungi dalla città nel più crudo inverno, s’incontrò in un povero seminudo che a stento poteva implorare soccorso; il Pannilini toltosi dal suo dosso il proprio mantello ne ricoprì quell’infelice figlio della miseria sovvenendolo eziandolo di denaro. Nel 1786 fu uno dei Vescovi toscani, che presero parte alle riforme ecclesiastiche promosse da Scipione de’ Ricci Vescovo di Pistoia per rivendicare, come essi dicevano, i diritti dell’episcopato contro le usurpazioni della S. Sede. Perseguitato per questo fatto ebbe a soffrire non poche molestie; finalmente dopo di aver sottoscritta una formula di piena adesione alle bolle contro il Giansenismo, si riconciliò con Pio VII in Radicofani nel 1814. Вuon pastore, oltremodo benefico, mori compianto nel 1822 il 6 luglio. Napoleone l nel 1810 lo aveva nominato Cav. dell’Impero.
PIETRO suo fratello nel 1803 fu eletto Cavaliere di S. Stefano, Senatore, ed ajo dell’lnfante Carlo Lodovico di Borbone Re d’Etruria. Morì nel 1839, ed in lui s’estinse un ramo dei Pannilini. Chiamò erede delle sue fortune il Cavaliere Angiolo del Cavaliere Giulio Piccolomini, con obbligo di aggiungere al proprio cognome quello dei Pannilini.
Questa famiglia esiste tuttora in Siena divisa in due diramazioni: la prima è rappresentata da Antonio e dai suoi figli; l’altra da Giuseppe, da Bernardino e da Gio. Battista [nel 2015 l'unico ramo ancora vivente è formato della discendenza di Antonio (di Pandolfo di Antongiuseppe), a sua volta suddivisa nella discendenza di Giuseppe Maria e di Raffaello, ndr] .
Fonte: Sommario storico delle famiglie celebri Toscane 1855, compilato da Demostene Tiribilli-Giuliani, riveduto dal Cav. Luigi Passerini (volume III), ad eccezione dai paragrafi preceduti dall'asterisco (*)